giovedì 15 ottobre 2009

Audition

CINEMA








I film prodotti in Oriente mi hanno sempre interessato.

Senza avere nessuna indicazione precisa, mi piace muovermi in questa produzione senza nessuna 'meta'. Mi sento come turista 'occidentale' in una città lontana, e senza mappa. Una sensazione che mi piace, che mi procura particolari e profonde suggestioni.


Sono i film di genere che attirano la mia curiosità; quelli di fantascienza e d'horror. Non so bene perché; ho l'impressione che questi film hanno il potere (quando ci riescono, naturalmente!) di penetrare più in profondità, entrando in quella sfera 'comune' che chiamiamo "immaginario collettivo". In quella sfera le ansie, le paure eccetera hanno una dimensione diversa, sono profonde, antiche e mitiche e sono molto meno controllabile. E' il vero scarto rispetto, per esempio, con i moltissimi re-make fatti dagli americani: la differenza è proprio nella forma dell'immagine, nella sostanza profonda del montaggio. Un cosa sicuramente da approfondire.. ma con calma.

Questo lungo prologo per introdurre Audition.





Il film è del 1999, girato dal regista giapponese Takashi Miike e tratto dall'omonimo romanzo di Ryu Murakami.

Si tratta di un film sconvolgente!

Ora senza dilungarmi troppo sulla trama (è possibile trovarla tranquillamente in rete) dirò l'essenziale: un uomo di mezza età decide di risposarsi e con l'aiuto di un suo amico organizzano una finta audition per un film che si dovrà fare. Le attenzioni dell'uomo cadono su una esile e carina ragazza. Cominciano a frequentarsi.. comincia una lenta e inesorabile discesa in un inferno violento, ipnotico e onirico, fino al terribile epilogo in cui la ragazza arriva a mutilare l'uomo che ama...


Riavvolgiamo il nastro! Mettiamo in pausa. E riprendiamoci.


Dopo tante parole non vorrei allungarmi troppo, mai come in film come questo le parole non riusciranno mai a prendere il posto delle immagini.

In rete ho letto molti commenti che si lamentano della lentezza in cui si passa dalla fase iniziale e 'normale' a quella prettamente splatter-horror. Forse perché non ero assolutamente preparato, fatto sta che il film l'ho trovato coerente, 'giusto' e affilato come una lama così tanto da farmi sorgere dei punti interrogativi.

L'attenzione è puntata soprattutto sulla cattiveria e violenza della ragazza, ma pochi si interrogano sul lato onirico delle immagini che pure abbondano. Perché sogna, immagina e vede quelle cose il nostro protagonista? Il montaggio disorienta lo spettatore, che non riesce più a capire cosa sia reale e cosa no. Lo spettatore entra in un labirinto e non riesce più ad uscirne e ad accompagnarlo è proprio il protagonista.

La fascinazione che produce questo film, in maniera piuttosto subdola, è che anche il protagonista ha una forte vena di follia; 'decide' di entrare in questo labirinto, intuendo, sentendo anche, che al suo interno potrebbe trovare il suo mostro. Per questo motivo credo che la parte considerata 'normale', così quotidiana, lenta e piena di elementi di una vita semplice e 'realistica', sia così importante.

Alla fine allo spettatore resta il dubbio. La ragazza era folle? Cosa è vero in ciò che ho visto? E se fosse stato solo un sogno? E dove è cominciata l'allucinazione?

Forse la parte più insopportabili del film è l'idea che la Vita e l'Amore possono avere una profonda vena di pura follia che li collega. Da qui la mia idea che il film sia una vera e propria metafora sull'Amore, anche se l'idea è folle.


E mi fermo qui.

sabato 11 luglio 2009

La notte della fine del mondo




LA NOTTE DELLA FINE DEL MONDO


È andata via.
Il letto si raffredda. Bagnato. Umido. Resto appoggiato a queste coperte intrisi d’umore. L'eco del suo passo per le strade, allontanandosi da qui.
Non posso distendermi, forse più tardi; quando il tutto si sarà asciugato. Il vestito del mio ricordo è appeso al buio della notte e l’umidità continua a bagnarlo. Molecole si legano ai tessuti. E poi si sciolgono. L'Entropia è una legge cui non si può sfuggire...
In questa camera l’odore è insopportabile. Le particelle del suo DNA, pelle, capelli, unghie, sono nelle mie cose. Come un virus sta prendendo possesso di me.
Le macchie di lei sul materasso. Il semaforo giallo agonizzando emette deboli segnali gialli. Apro la finestra. I lampioni di luce, ancora gialla; le strade di lei; le strisce pedonali che lei sempre ha percorso; l’asfalto scuro sembra rilucere stranamente sotto i lampioni… Forse tutto sta lentamente bruciando.
Atmosfera irreale del cazzo!
Il semaforo lampeggia giallo. Sui palazzi scuri e uguali scivola lentamente questa luce gialla; oltre, mi hanno detto, c’è un mare, che non potrò più vedere. Passa una macchina sgommando. Due ragazzi cantano Alabama Song stonando…
È improvviso, ma aspettato. I lampioni si spengono. I palazzi scompaiono. Le strade davanti a me. Infine persino io, nel limbo. Inghiottito tutto in questa luce senza forma.

giovedì 2 aprile 2009

Un lato di pretesa


Ogni volta che mi collego a questo mio blog, il mio sguardo cade sempre sulla lista "Film visti amati". E ogni volta penso: sono un po' pochini; considerando che mi occupo di cinema; sono proprio pochini.
Se non fosse che sono io a scrivere su questo fazzoletto di realtà virtuale potrei addirittura pensare che "chi gestisce questo blog, non va proprio al cinema!"

....il problema, il mio problema forse è che io vedo tanto cinema...
mi spiego: ho visto e vedo così tante cose che è difficile fare una lista!

Se dovessi cercare di scrivere una lista dei film più importanti della mia vita ho paura che avrei bisogno di molto spazio.

Ogni tanto alcuni critici si riuniscono e stilano una lista dei cento film più importanti della storia del cinema... solo cento film? Decisamente li invidio!!
Di solito Citizen Kane è primo. Certe cose non cambiano... almeno per ora!

giovedì 26 febbraio 2009

Come in un film



Serie B


Come in un film


Oggi deve essere una giornata proprio strana!
Sono sul treno che mi porterà alla mia meta finale.
Suono della partenza; lungo e alto. Si chiudono le porte. Controllo l'orologio, un minuto prima dell'orario. Sorrido, ha dell'incredibile. Il treno con un sussulto iniziale comincia lentamente a muoversi.
Vedo attraverso il finestrino due ragazzi di colore rincorrere il treno cominciando a gesticolare, ad urlare. Ricostruisco mentalmente: sono scesi per fumare e quando il treno è partito non erano pronti.
Urlano e gesticolano. Urlano urlano. Il signore di fronte a me poggia il libro che sta leggendo, si alza, apre il finestrino, prende le valigie e comincia buttarle fuori. Spalanco gli occhi. Mi chiedo se stanno filmando un film. Mi giro intorno, ma non vedo nessuna telecamera. E neanche macchine fotografiche che immortalano l'azione. Solo io me ne accorgo?
Penso subito a Totò che butta le valigie e la scaletta dal treno per fare posto. Sorrido. La vita è più di un film. Una per una le valigie e le buste sono buttate fuori dal finestrino. Si sente un urlo ormai sempre più lontano: grazieee!!
Il treno ha ormai preso velocità. Tutti sono seduti; qualcuno sonnecchia. Il signore si siede di nuovo riprende il libro e sembra tornare nella sua lettura.

Sì la vita è decisamente più dell'arte.

sabato 14 febbraio 2009

Un lungo viaggio


serie B

Un lungo viaggio

...
1, 2, 3... Spesso succede di aprire gli occhi, guardarsi in giro e non capire dove essere; ma la cosa più grave è non ricordare che giorno è e se ci sono appuntamenti, se ci sono cose da fare. 4, 5...
Sono secondi, minuti, quasi di panico. 6, 7, 8...
Il più delle volte non è grave. 9, 10, 11...
...12, 13...
Quando ho aperto gli occhi, mi sono ricordato che li avevo aperti anche quando fuori era ancora buio; ora il sole c'è, una bella luce filtra dalla finestra.
9,20. Una buona ora per svegliarsi. Ma una domanda si è fatta strada tra i miei pensieri: perché avevo aperto gli occhi quando non c'era luce?
Mi guardo intorno con più attenzione e d'improvviso mi ritorna in mente il motivo: sulla porta vedo la mia valigia rossa. Il mio viaggio. Il mio treno. 9,54. Per questo motivo odio dormire prima dei viaggi; ti addormenti, entri in coma e non sai se ti sveglierai più! Meglio partire quando il sole non ha ancora preso servizio! Le 6 è l'orario migliore per partire!

Sono le 9,32 sono pronto ma neanche con un elicottero per giungere in stazione riuscirei a prendere quel treno. Peccato! Il mio primo treno ad Alta Velocità...
Ho un'idea. Disperata, ma unica, considerando che non l'ho mai sperimentata prima: cambio di prenotazione.
Il numero assistenza della Ferrovie italiane non è semplice da trovare; probabilmente rendono tutto più difficile sperando di diminuire le telefonate; non deve essere divertente essere chiamati da persone inviperite per un treno non arrivato o da persone come me completamente incapaci.
9,44. Come prevedibile nessuno mi risponde. Un alone di tristezza comincia a prendere piede tra i miei pensieri. Navigo senza uno scopo sul sito ferroviadellostato.it mentre ho in mano la cornetta... finché non trovo la possibilità di fare il cambio on-line! Alé! forse sono salvo!
9,48: ce la posso fare!
Metto i numeri, click e... niente! Come niente? La pagina di Firefox mi dice che non sono collegato.
9,50. Ci metto qualche momento ad elaborare un piano. Vado al router: spento. Seguo il filo, tolgo la spina e la rimetto. Il router si riaccende, la spia wireless è di nuovo verde e mentre mi chiedo come diavolo si è spento il router, finisco la procedura. Fatto! Treno Alta Velocità alle 11,54: sono stato bravo.
Mi rilasso, mi pulisco dal sudore sulla fronte.
Ma la sensazione di benessere dura poco. Mio padre comincia a martellarmi peggio di una sveglia. La sveglia puoi sempre spegnerla, buttarla giù per strada.
Per non sentire le sue raccomandazioni, le sue sollecitazioni a non perdere di nuovo il treno, decido di scendere un'ora e un quarto prima della partenza.
Però quando prendo la metro mi rendo conto che si è trattata di una decisione troppo affrettata: ho dimenticato il pranzo, l'acqua, il dolce. Oltre sei ore per arrivare a Brescia; comincio a sentire già fame! Spero che mio padre si senta al meno un po' in colpa!
Quando arrivo in stazione manca un'ora alla partenza. Per lo meno il treno è già al binario.
Prendo posto seguendo le indicazioni della nuova prenotazione e sbircio i dati del vecchio biglietto: carrozza 6 posto 66. 666! il numero della bestia!
Questo viaggio sarà molto lungo mi sa.

martedì 20 gennaio 2009

L'esame


L'ESAME


Quando la sveglia suonò, ero già sveglio e potevo sentire chiaramente che fuori pioveva: ho sempre odiato la pioggia.
La sveglia smise di suonare e tirandomi le coperte sulla testa, decisi che avrei fatto l'esame un altro giorno, un giorno senza pioggia, magari in estate.
Quando mio padre mi chiamò, capii che era ora di alzarsi.
Mi alzai dal letto e mi vestii sforzandomi di non pensare a niente; ma facendo colazione, iniziai a tremare; mi convinsi che l'esame non c'entrava. Guardavo fuori e le nuvole grigie in cielo non promettevano niente di buono. Le strade avevano un riflesso argenteo.
-Avrei fatto meglio a rimanere a letto e a fare l'esame in estate- pensai sorridendo.
Finalmente uscii e la pioggia era molto più fine e meno insistente, ma un gelido vento attraversava le strade facendomi sentire a disagio ed insicuro: -Prendendo l'aereo potrei fare l'esame in Australia- pensai sorridendo.
Giunsi quindi alla fermata dell'autobus e iniziai ad aspettare. L'acqua della pioggia scorreva e si infilava negli scoli vicini al marciapiede. Finalmente presi l'autobus; la pioggia aveva ricominciato a scendere fitta e pesante, ma non pensai a niente perché non avevo voglia di sorridere.
Il cielo era quasi schiarito quando scesi dall'autobus, ma una goccia d'acqua cadde dal cielo e colpì il mio naso.
-Questo sicuramente è il giorno sbagliato per fare l'esame- pensai sforzandomi di sorridere.
Salii lentamente le scale che ormai conoscevo come le mie tasche e arrivai davanti alla porta dell'enorme sala dove sapevo avrei dovuto sostenere l'esame: la porta era chiusa, ma si poteva vedere chiaramente da una sorta di finestra sopra la porta che la luce dentro era accesa.
"Scusa è qui che si fanno gli esami?"
Questa domanda mi riportò alla realtà e mentre annuivo con la testa mi resi conto che non ero l'unico a dover fare l'esame; altre persone attendevano nelle vicinanze della porta.
Sulla faccia di alcuni si poteva leggere preoccupazione e timore, sulla faccia di altri era chiara invece la sicurezza per una buona preparazione forse, o forse per la propria ignoranza. Ad un tratto sentii l'irrefrenabile desiderio di fuggire il più lontano possibile da quelle persone, forse per paura che potessero leggere il mio viso, la mia espressione, la mia paura.
Iniziai a camminare fino ad arrivare ad un muro; mi appoggiai, quindi alzai la testa. Vedevo ora come per la prima volta la stanza, una specie di grande anticamera di ospedale con luci al neon sul soffitto e una fila di finestre da un lato; guardai fuori: pioveva. Presi un libro e tentai di ripetere qualcosa, ma fu inutile. Iniziai allora a farmi delle domande; poi sorridendo mi dissi che se continuavo a farmi domande che sapevo, l'esame non p­teva andare male. I minuti trascorrevano e la porta non si apriva. La pioggia batteva sui vetri della finestra.
Quando finalmente la porta si spalancò, tutti prima lentamente, poi velocemente, ci movemmo. Quando l'ometto che era apparso sulla soglia della porta decise che era il momento, aprì un foglio e iniziò a chiamare delle lettere, probabilmente dei gruppi, e poi dei nomi. Dopo che furono entrate alcune persone dai visi totalmente sconosciuti, la porta si richiuse. Le persone escluse dalla chiamata iniziarono a sparpagliarsi di nuovo per l'anticamera, e così feci anch'io.
Volevo cantare per distrarmi, ma una volta iniziata una canzone non riuscivo mai a finirla, e intanto i minuti trascorrevano e la pioggia battente sulle finestre sembrava voler sottolineare il passare del tempo.
La porta si aprì ancora e altri nomi furono detti, ma il mio no; tutti fuorché il mio.
"Scusi, ma... per il mio esame?" chiesi.
"Vada al dipartimento centrale, io non so niente."mi disse l'omino; la sua voce mi risultò ora piuttosto sgradevole.
Col cuore in gola scesi le scale e imboccai il corridoio che portava al dipartimento centrale. Avevo paura, credo, non avevo molto tempo per pensare. Arrivato al dipartimento, però aspettai comunque qualche secondo prima di bussare e di entrare alzando il dito della mano destra.
L'unica persona che era nella stanza alzò appena gli occhi dalla sua macchina da scrivere e disse "Il professore ha avuto un lutto in famiglia. Le faremo sapere quando potrà sostenere l'esame."
Fuori non pioveva più.

Dopo una piccola sosta ho deciso di pubblicare questo vecchio racconto cui sono molto legato. Anche se sono passati dieci anni dalla sua elaborazione, anche se dovessi riscriverlo oggi probabilmente lo farei in modo diverso, continuo a vedere ciò che mi aveva spinto a scriverlo all'epoca... e questo dal mio punto di vista è molto bello e importante.

A chi legge: spero che vi piacerà!!