martedì 20 gennaio 2009

L'esame


L'ESAME


Quando la sveglia suonò, ero già sveglio e potevo sentire chiaramente che fuori pioveva: ho sempre odiato la pioggia.
La sveglia smise di suonare e tirandomi le coperte sulla testa, decisi che avrei fatto l'esame un altro giorno, un giorno senza pioggia, magari in estate.
Quando mio padre mi chiamò, capii che era ora di alzarsi.
Mi alzai dal letto e mi vestii sforzandomi di non pensare a niente; ma facendo colazione, iniziai a tremare; mi convinsi che l'esame non c'entrava. Guardavo fuori e le nuvole grigie in cielo non promettevano niente di buono. Le strade avevano un riflesso argenteo.
-Avrei fatto meglio a rimanere a letto e a fare l'esame in estate- pensai sorridendo.
Finalmente uscii e la pioggia era molto più fine e meno insistente, ma un gelido vento attraversava le strade facendomi sentire a disagio ed insicuro: -Prendendo l'aereo potrei fare l'esame in Australia- pensai sorridendo.
Giunsi quindi alla fermata dell'autobus e iniziai ad aspettare. L'acqua della pioggia scorreva e si infilava negli scoli vicini al marciapiede. Finalmente presi l'autobus; la pioggia aveva ricominciato a scendere fitta e pesante, ma non pensai a niente perché non avevo voglia di sorridere.
Il cielo era quasi schiarito quando scesi dall'autobus, ma una goccia d'acqua cadde dal cielo e colpì il mio naso.
-Questo sicuramente è il giorno sbagliato per fare l'esame- pensai sforzandomi di sorridere.
Salii lentamente le scale che ormai conoscevo come le mie tasche e arrivai davanti alla porta dell'enorme sala dove sapevo avrei dovuto sostenere l'esame: la porta era chiusa, ma si poteva vedere chiaramente da una sorta di finestra sopra la porta che la luce dentro era accesa.
"Scusa è qui che si fanno gli esami?"
Questa domanda mi riportò alla realtà e mentre annuivo con la testa mi resi conto che non ero l'unico a dover fare l'esame; altre persone attendevano nelle vicinanze della porta.
Sulla faccia di alcuni si poteva leggere preoccupazione e timore, sulla faccia di altri era chiara invece la sicurezza per una buona preparazione forse, o forse per la propria ignoranza. Ad un tratto sentii l'irrefrenabile desiderio di fuggire il più lontano possibile da quelle persone, forse per paura che potessero leggere il mio viso, la mia espressione, la mia paura.
Iniziai a camminare fino ad arrivare ad un muro; mi appoggiai, quindi alzai la testa. Vedevo ora come per la prima volta la stanza, una specie di grande anticamera di ospedale con luci al neon sul soffitto e una fila di finestre da un lato; guardai fuori: pioveva. Presi un libro e tentai di ripetere qualcosa, ma fu inutile. Iniziai allora a farmi delle domande; poi sorridendo mi dissi che se continuavo a farmi domande che sapevo, l'esame non p­teva andare male. I minuti trascorrevano e la porta non si apriva. La pioggia batteva sui vetri della finestra.
Quando finalmente la porta si spalancò, tutti prima lentamente, poi velocemente, ci movemmo. Quando l'ometto che era apparso sulla soglia della porta decise che era il momento, aprì un foglio e iniziò a chiamare delle lettere, probabilmente dei gruppi, e poi dei nomi. Dopo che furono entrate alcune persone dai visi totalmente sconosciuti, la porta si richiuse. Le persone escluse dalla chiamata iniziarono a sparpagliarsi di nuovo per l'anticamera, e così feci anch'io.
Volevo cantare per distrarmi, ma una volta iniziata una canzone non riuscivo mai a finirla, e intanto i minuti trascorrevano e la pioggia battente sulle finestre sembrava voler sottolineare il passare del tempo.
La porta si aprì ancora e altri nomi furono detti, ma il mio no; tutti fuorché il mio.
"Scusi, ma... per il mio esame?" chiesi.
"Vada al dipartimento centrale, io non so niente."mi disse l'omino; la sua voce mi risultò ora piuttosto sgradevole.
Col cuore in gola scesi le scale e imboccai il corridoio che portava al dipartimento centrale. Avevo paura, credo, non avevo molto tempo per pensare. Arrivato al dipartimento, però aspettai comunque qualche secondo prima di bussare e di entrare alzando il dito della mano destra.
L'unica persona che era nella stanza alzò appena gli occhi dalla sua macchina da scrivere e disse "Il professore ha avuto un lutto in famiglia. Le faremo sapere quando potrà sostenere l'esame."
Fuori non pioveva più.

Dopo una piccola sosta ho deciso di pubblicare questo vecchio racconto cui sono molto legato. Anche se sono passati dieci anni dalla sua elaborazione, anche se dovessi riscriverlo oggi probabilmente lo farei in modo diverso, continuo a vedere ciò che mi aveva spinto a scriverlo all'epoca... e questo dal mio punto di vista è molto bello e importante.

A chi legge: spero che vi piacerà!!